Anno domini duemilaventiquattro. Scrivo di nuovo un post sul mio blog. Cosa si prova a tornare indietro nel tempo? Nulla, tutto, troppo. La vita è diversa eppure uguale. Ho fatto passi avanti? Pochi, forse pochissimi. Sono fidanzata da cinque anni, sono all'università da quasi otto, ma ho cambiato facoltà perché ciò che avevo scelto non mi piaceva e mi faceva star male. Ho vissuto anni di depressione e ansia, poche soddisfazioni, pochi amici, alcuni molto buoni. Non so se mi sono innamorata mai, però amo molto la persona con cui condivido la mia vita.
Nel duemilatredici immaginavo la mia vita molto diversa, anzi, avevo in qualche modo la consapevolezza che all'esistenza a cui aspiravo non ci sarei arrivata mai, sia per incompetenza che per debolezza di carattere. Avevo ragione, ma tutto sommato non mi pento di non averla raggiunta. Immaginavo il corporate dream americano, di fare tutti i passi necessari per scalare la vetta sociale (università in facoltà STEM con la lode, ovviamente), essere assunta in qualche studio o azienda di prestigio, farmi un nome, diventare "qualcuno", avere soldi. In barba ai miei compagni di classe che in me vedevano solo una tipa probabilmente antipatica, che aveva la noiosa tendenza a fare la saputella, che non sbagliava quasi mai un compito, di sicuro non un'interrogazione. Invece, no. Ho cannato la vita, almeno per il momento.
La facoltà STEM l'ho persino scelta all'inizio, dopo test di ammissione con esiti pietosi a Milano e Torino. Ho scelto ingegneria. Mi sono voluta punire, inconsciamente per lo più. Per me, finché sono stata a scuola, scegliere un corso di laurea umanistico sarebbe stata la morte. Niente lavoro, niente prestigio sociale. Nella mia città di provincia, così misera e piuttosto squallida, vivevo proiettata in avanti di anni, in un delirio competitivo con l'immagine ideale di me stessa che avrei dovuto superare o, almeno, eguagliare. Quindi ho preso ingegneria a Torino, mi sono trasferita, ho conosciuto belle persone e altre molto meno belle. Mi sono fidanzata per la prima volta, ho dato il mio primo bacio, la mia prima volta. Esperienze deludenti. Capita. Però succede anche che siano belle. Sono stata lasciata per la prima volta. Ho fatto amicizia, per la prima volta, con un gruppo di persone tutte diverse. Li ho persi quasi tutti con il tempo. Sia chiaro, non sono morti sono solo andati avanti con la propria vita. Io sento di non averlo fatto. Ho affrontato una brutta depressione, ho preso psicofarmaci, volevo morire. Sono andata in terapia, ci sono rimasta per quasi sette anni, l'ultima seduta è stata gennaio scorso. Un piccolo traguardo. Nel frattempo i miei amici si sono laureati, sia in triennale che in magistrale, ho applaudito loro quando sono usciti con la corona d'alloro sulla testa, poi hanno cominciato il dottorato o adesso lavorano. C'è chi si è trasferito in un'altra città, per compiere il vero riscatto sociale. C'è chi ha comprato casa con l'aiuto dei genitori. Io sono in affitto con il mio ragazzo, è un bell'appartamento, luminoso, spazioso, soprattutto silenzioso. Mi piace il silenzio. Non mi piace quando comincia a farmi pensare troppo, allora devo fare rumore, devo coprire i pensieri che vagano, l'ansia che avanza. Quindi metto su una serie, metto la musica o Barbero che mi spiega il passato. E se non basta via con Instagram, scorrere meme finché non anestetizzo la mente. Non è una buona strategia credo, ma è quella che al momento si sposa meglio con la mia vita.
Ho finito la triennale solo quest'anno. O meglio, sto ancora scrivendo la tesi. Sì la tesi, chissà. E poi? Poi la magistrale. Si ma in cosa? Sempre Lettere. Eh, ma quale? Eh... volevo prendere Digital Humanities sai, quella nuova. Mmh sembra interessante. Sì. E poi? Eh.
Pensare al futuro in un'Italia che cade a pezzi. Non ci riesco. Mi immagino povera, in difficoltà con le cose banali della vita: le bollette, la spesa, i risparmi. Ho la paura egoistica della morte dei miei genitori. Io sono finita senza il loro appoggio. Mi mantengono, io non lavoro, studio. Ci sentiamo ogni tanto, scendo giù in Puglia ogni tanto, feste comandate sempre. Loro invecchiano, io pure. Sembra sempre tutto uguale. Vedo mio padre incanutito, la pelle floscia delle guance. È andato in pensione quest'anno, ma continuerà a lavorare. Settecento euro al mese di pensione. Mia madre insegna ancora, poco, ma lo fa. Non le piace più già da un po' ma non ha maturato gli anni per andarsene anche lei. Ho paura di ogni loro domanda. Hanno passato la vita a ignorarmi per lo più, forse non erano in grado di avvicinarsi a me. Adesso credo che si rendano conto di quanto la mia assenza pesi loro. Ma sono anche un altro tipo di peso. Migliaia di euro spesi per me, per la mia istruzione, per trovarmi un lavoro. Sì, un lavoro. Ma quale? Come si fa a trovare un lavoro? Come si convince il tipo delle risorse umane che sei un buon investimento? E poi come si trova la forza di andare a lavorare? Io non ce l'ho. L'altro giorno scherzavo con il mio ragazzo "vivo in pensione anticipata", scrivo la tesi, sono a casa tutto il giorno, tutti i giorni. In fondo, non ho nulla da fare. Gestisco il mio tempo malissimo. Difficilmente riesco a buttare giù qualcosa... mi distraggo, per lo più, per non pensare.
Odio la mia vita. Se paragonata a quella dei miei pochi amici. Sento una FOMO costante, eppure non agisco mai. Ci vuole troppo per preparami, cercare di farmi bella, uscire e non sentire gli occhi di sconosciuti addosso che sanno che non vali un cazzo. Che vivi nella bambagia senza un problema al mondo, perché tanto ci sono mamma e papà che ti mantengono. Per una stupida triennale in Lettere moderne ci hai messo sei anni e ancora non hai la più pallida idea di cosa fare dopo. Perché tanto non lo sai. Non hai ottenuto nulla finora. Non hai una laurea, non hai fatto esperienze, non hai amici. Passi il tempo sola tutti i giorni, marcendo fino al midollo senza portare a termine nulla. Non hai passioni, hobby. Il tempo libero è tutta la tua giornata. Rivivi nella tua testa episodi del passato, come una playlist in shuffle continuo. Fai continuamente discorsi immaginari con chiunque, tua madre, tuo padre, una tua amica, il tuo fidanzato, ma mai davvero. Sono discorsi anche belli, importanti. Rimangono là, nella tua testa. Si affollano, insieme a tutta la merda che ti porti dietro. Sono una privilegiata, mi sento in colpa sempre, perché non è giusto ma grazie a Dio o chi per lui che sia così. Io non sono una che sopravvive, io sopravvivo perché c'è qualcuno che mi prende e mi rialza. Sopratutto qualcuno con i soldi.
In questi anni ho sempre dubitato di me stessa. Anzi, ho sempre oscillato tra il sentirmi superiore a tutti gli altri e il sentirmi un essere estremamente inferiore. Tutti bei voti a scuola, i professori mi dicevano che ero intelligente, i miei parenti mi dicevano "Brava!". Gifted child, si dice no? No, era il resto che era mediocre e ho sempre avuto tanti aiuti. Mia cugina con matematica mi ha regalato ripetizioni per almeno tre anni del liceo, probabilmente senza di lei mi sarei accorta che fisica e matematica non erano per me. E poi sbam, l'università. Valutazione Esame: non superato. Valutazione Esame: Non superato. Quindi sono stupida, non sono al pari degli altri. Sì ero stupida. In una facoltà come quella sì. Allora cambiamo. Valutazione Esame: 24/30. Mmh, forse sono stupida e basta. No, non lo sono. Ma sono tremendamente insicura, ansiosa e poi studio male, a memoria. Cambia metodo, un po' meglio, 27. Ci vorrà un po' per capire, ma in fondo serve culo e basta. Ma l'intelligenza mica sono solo i voti. Sì e no, almeno per me.
Mi pare di essere diventata così consapevole attraverso la terapia, di aver scoperto come analizzarmi e come analizzare gli altri. La consapevolezza mi da superiorità. In fondo, devo essere particolarmente intelligente per capire me stessa e gli altri, no? No, probabilmente no. Eppure capisco le persone meglio di come capiscano se stesse, no? No, sbagliato anche quello. Io non so proprio nulla, né di me né di altri. Sono arrogante, saccente, penso di aver capito il mondo e poi non è vero niente. E poi mi considero meglio degli altri perché ho letto qualcosa, un paio di saggi femministi, ha fatto un paio di manifestazioni in piazza, sono andata alla presentazione di qualche libro interessante, ho partecipato a un corso sui pericoli dei social, con tematiche complesse sugli influencer, lo sharenting, il washing delle multinazionali, le istanze collettive verticalizzate da singoli che perdono di forza e impatto, l'uso dei movimenti sociali che vengono estetizzati rendendoli prodotti da vendere a chi vuole sentirsi woke, autoassolvendosi dal reato capitalista del consumo. Ma non so argomentare nulla, non so spiegarlo, non ne ho parlato con nessuno, non riesco a controbattere se mi dicono "eh allora proponi un modello alternativo" o "eh ma almeno così anche se ne parla l'influencer CF ci sarà almeno qualcuno che si riconosce e poi sparge la voce". E che gli vuoi dire? Boh, io non lo so, mi mancano le basi, mi manca la semantica, il lessico, lo studio e la filosofia, soprattutto l'esperienza. Quella dei collettivi, di chi organizza manifestazioni, di chi fa volontariato, di chi conosce le realtà per cui e contro cui combatte.
Ho ventisei anni (quasi e mezzo) e mi sento il negativo di quell'immagine di me che avevo in testa durante l'adolescenza. I denti sono neri e le iridi sono bianco-azzurre. Mi mancano tanti tasselli, sono un puzzle incompleto perché i pezzi non si trovano. Sono stati buttati, si sono rotti e chi il puzzle lo sta facendo non ha proprio voglia di cercarli o inventarsene di nuovi.
Anno domini duemilaventiquattro, io sto scrivendo questo scempio sgrammaticato invece di dedicarmi alla mia tesi in letteratura. Addio.